ultimo aggiornamento: 03/05 00.15
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CORSIVO
GIUDIZIO

 
 
 

Una storia iniziata molto lontano... circa qui... e che si conclude così...

Lo scontro della Croisette non era stato decisivo. In quell’occasione Napoleone aveva schiantato l’Esercito delle Nazioni. Esercito delle Nazioni che era convinto, nel momento di maggior successo, di poter dare la spallata finale alla coalizione francese che dall’Ottobre Rosso deteneva il potere, ma che cominciava a dare preoccupanti segnali di cedimento, a partire dalla sconfitta negli scontri coi reazionari di Carpi. A nulla erano però valse, nella battaglia della Croisette, sul campo dedicato a Palmiro Marconi, le valorose azioni di PierMary Nibbs e di Maximilien Manfrin. L’esercito francese, con una prova di coraggio, compattezza e umiltà aveva preso di nuovo il sopravvento, grazie anche all’aiuto della popolazione e del gruppo rivoluzionario denominato ZeroCinqNoeuf, mandato in avanscoperta assieme ai tamburini e ai trombettieri.

Quella che sembrava essere la battaglia decisiva non aveva però ancora risolto del tutto i problemi in seno all’Impero. Nonostante la disfatta, Lord Wellington e il generale Von Briss erano riusciti a mantenere compatte le truppe e già battendo in ritirata erano riusciti a non soccombere contro l’ondivaga popolazione di Carpi, cercando poi rifugio in terra di Toscana. Una scelta che si sarebbe poi, di lì a poco, rivelata infelice. Anche l’Esercito delle Nazioni comunque cominciava a manifestare stanchezza e malcontento per quella che sembrava essere una guerra infinita contro una coalizione compatta e che, soprattutto sul suolo patrio, sembrava imbattibile. Ciononostante Sean Paul La Carrette continuava a fare proseliti tra i neri dei ghetti, mentre Esteban Strichetos cercava di portare dalla sua parte il popolo sempre più alla fame. Richard Raymond, a parte qualche screzio col generale Wellington dovuto al fatto di essere stato messo tra le seconde linee durante lo scontro della Croisette, continuava a martellare di colpi d’artiglieria ogni nemico, mentre Matthew Malms e frate Elia catechizzavano i fedeli, ed avevano convertito il monastero salesiano di Bologna alla guerra santa contro l’Impero di Napoleone. Frederic Sevère era invece fuori combattimento, ma lo era stato per gran parte della campagna.

Insomma, una situazione tutt’altro che rosea, quella che si prospettava a Napoleone dopo la vittoria, con un nemico ancora non intenzionato ad arrendersi. Tanto più che l’esercito era ormai allo stremo: Lord Ugolini era solito amoreggiare presso le sedi abbaziali presenti sul percorso e quando non amoreggiava se la faceva letteralmente sotto e costringeva l’esercito a cercare pannoloni in ogni villaggio. Alexandre le Champion, dopo aver macinato chilometri su chilometri, avvertiva problemi con la forza di gravità, e non era più in grado di garantire il solito apporto con l’artiglieria pesante. Andrè la Cosse, che lo avrebbe dovuto far rifiatare, a forza di stare in cucina era diventato un piccolo barile, mentre il suo fido compagno tenente Condoms era perennemente in una clamorosa busca dettata dal cuoco Muhammed Von Pirr, che voleva assolutamente affibbiargli un maialino mentre lui pretendeva la classica tagliata rucola e grana. Fortunatamente il capitano La Carrette interveniva a dissipare queste dispute in seno all’esercito, con parabole leggendarie e miracoli di moltiplicazione delle birre. Proprio il capitano La Carrette, vista la sua secolare esperienza, era uno dei pochi ancora lucidi, e la sua astuzia si sarebbe rivelata determinante ai fini del successo finale. Emmanuelle Armarole era incagliato presso le sabbie mobili della temibile palude della Duna degli Orsi, vicino a Cesena, con l’amico americano Channels che cercava in tutti i modi di tirarlo fuori a forza di cannonate, con la sua arma segreta denominata Tequila Bum Bum. Con Emilien Mal à Volte ancora nell’ospedale di campo per la ferita da arma da fuoco che rischiava di fargli perdere la gamba, il reparto centrale dell’esercito era entrato in crisi, tanto più che il generale Von Papotten si era ferito da solo, sparandosi inavvertitamente un colpo sul collo, proprio poco prima dell’assalto alla fortezza di Bologna. Il Serjeant Berjeant vagava innamorato nel canile dell’accampamento, ormai perduto nella lingerie della sua padrona, mentre Albert Le Belle, intento a finire le scorte di sambuca delle truppe, andava a letto con qualsiasi essere vivente incontrasse, lui, “tombeur de bidons”. E per questo era stato abbandonato al suo destino nei sobborghi tetri di Ferrara. Un esercito in disfacimento quindi, ma le speranze erano legate ad alcuni validi comandanti. Assieme a La Carrette, per esempio, manteneva un buon rendimento in battaglia anche Alexandre le Guerce, che aveva capito dove smistare le munizioni. Alexandre “Saint” Gorge si era infatti svegliato dal torpore che lo aveva preso durante l’inverno e aveva deciso di regalare all’Esecito francese, amoroso e accogliente con lui, le ultime e definitive vittorie. A guerre concluse (e Saint Gorge non voleva si dilungassero, perché la popolazione era ormai in ginocchio) se ne sarebbe andato in Brasile e, sotto lo pseudonimo di Giuseppe Garibaldi, sarebbe diventato l’”Eroe dei due mondi”, vincendo battaglie anche nel Nuovo Continente. Le sorti delle decisive battaglie erano affidate a lui, e alla compattezza degli alti gradi di Napoleone.

Una piccola tregua nelle cruente battaglie si ebbe nello storico incontro al passo del “Morsichino”, quando soldati dell’Esercito delle Nazioni e truppe Francesi, assenti i rispettivi generali, si sedettero a bere assieme fiumi di birra, concordi sul fatto che il passo fosse pieno di donzelle impregnabili e che Gianluca da Sassuolo fosse un imbecille. Ma la tregua durò poco.

Wellington stava subendo perdite ingenti sul fronte toscano e la fine, per l’Esercito delle Nazioni, sembrava vicina, tanto più che Napoleone continuava a recuperare le posizioni perdute a suon di battaglie vinte contro i ribelli. Si avvicinava il giorno decisivo, il giorno della battaglia di Bologna, contro l’ultima roccaforte dei ribelli, il monastero dei salesiani ancora fedele a Wellington.

Max Nannhein, conte di Ehindhoooven e di Carpi, non poteva che osservare la guerra dal colle di Parma, ormai tagliato fuori dai giochi di potere. Al suo fianco, nel punto di osservazione, il tenente Grilled Meat, valoroso ma innocuo, che solo poche settimane prima, durante le sommosse di Carpi, aveva provocato verbalmente il generale Von Papotten: “Non vincerete mai la guerra - aveva detto Grilled – siete inadeguati” (forse la trascrizione dei messaggeri non è fedele all’originale). Laconica la risposta del generale francese: “Non è tempo ora di contraddirti. Sarà la Storia a parlare”.

E la Storia parlò.

Napoleone caricò i suoi a dovere assieme al fido assistente e inventore di nuove tecnologie Conrad Baptistin e, appresa la notizia del disfacimento dell’Esercito di Wellington in Toscana, diede l’ordine dell’ultimo e decisivo assalto alla fortezza di Bologna. L’Esercito dell’Impero serrò le fila e, guidato dalle bordate di Saint Gorge e dalle prodezze balistiche di La Carrette, tirò giù a cannonate il monastero di Bologna. Un trionfo, un’apoteosi, una vittoria che solo poche settimane prima sembrava irraggiungibile ma che metteva la parola fine a mesi di sanguinosi scontri. La pace era ritornata, mentre Napoleone e il suo esercito marciavano sulle macerie di Bologna, tornando a casa.

Napoleone rientrò a Modena, con l’esercito al completo, portato in trono dai suoi e dalla popolazione. E dal Balcone di via Canaletto (o meglio, dalla Terrazza) pronunciò un commovente discorso alla nazione, in stile leggermente da ventennio, ma il popolo apprezzò lo stesso. Donne e uomini piangevano commossi alle parole dello stremato generale, che aveva perso la sua folta chioma in battaglia e aveva dovuto ingoiare così tanti bocconi amari da risultarne ingrassato. Le lacrime e le urla di giubilo e festa salutavano l’esercito trionfante e la riconquistata pace.
L’Impero aveva vinto. La Storia era cambiata.

Grazie Pancia

Alessandro Trebbi