ultimo aggiornamento: 31/08 18.00
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CORSIVO
GIUDIZIO

 
 
 

Il sangue amaro dei partigiani

A volte, ahimè, la Storia con la S maiuscola viene travisata. Rivoltata come un qualsiasi guanto e gettata dall’altra parte, sull’altra riva, senza un perché oggettivo e morale. Senza etica.

La storia della Resistenza italiana, nonostante qualcuno affermi il contrario, è una storia assolutamente chiara e lineare. Una storia che parte dal 1922, perché è già dalla marcia su Roma che il primo antifascismo vede la luce, e arriva fino al 1948. Una storia fatta di adesione, di malcontento, di disperazione, di dolore, infine di ferito entusiasmo e di pace. E non è vero, nonostante qualcuno affermi il contrario, che la memoria storica dei morti di una certa fazione si sia persa, e solo grazie ad un paladino della giustizia finalmente siamo risorti e, abbagliati, abbiamo potuto riconoscere la Verità.

Perché la gente, i morti, se li ricorda. Se lo ricorda se ha avuto uno zio fascista ucciso dai partigiani o un cugino partigiano ammazzato dalle SS. Se lo ricorda anche se sui libri non c’è scritto. Perché, diciamoci le cose in faccia: quanti di voi sanno della strage di Monchio dai libri? Quanti di voi conoscono le rappresaglie fasciste di Soliera perché lo hanno letto da qualche parte? Quanti di voi sono consapevoli dei rischi che tantissime famiglie della pianura hanno corso ospitando e nascondendo nelle proprie case i partigiani che spiavano e sabotavano i tedeschi e i fascisti? Pochi, forse nessuno. Sono tutte conoscenze mutuate dal ricordo, dal racconto, dalla testimonianza. Tanto per i partigiani che per i repubblichini. La Storia della Resistenza italiana non è mai stata dipinta come un’epopea spettacolare. Per convenienza, mica per altro. I partigiani hanno semplicemente vinto la guerra combattendo PER la liberazione, CONTRO il regime dittatoriale e il totalitarismo. Ce n’è di materiale per farci su un poema epico, ma nessuno ce l’ha mai fatto. Perché certi equilibri nazionali e internazionali andavano rispettati, e così è stato meglio non esaltare troppo una guerra vinta con coraggio.


Qualcuno dirà che i morti sono tutti uguali. Perfettamente d’accordo. I morti sono tutti uguali. Quindi Adolf Hitler morto è perfettamente uguale a Che Guevara morto, a Giovanni Paolo II morto, a Gandhi morto, a Mario Rossi morto, ad Alessandro Trebbi morto. Ma le vite, le scelte di vita, sono diverse.

Quindi nella tomba saranno pure stati uguali (e lo sono anche ora) e meritano uguale rispetto, i morti repubblichini e i morti partigiani. Ma in vita no. In vita non meritano uguale rispetto. E non sono equiparabili. Mai. Mai lo saranno.
Non siamo qui a giudicare il perché uno abbia aderito ad uno schieramento anziché a un altro: per convenienza, per aver salva la pelle, per fermo ideale, per bieca e pazza follia sanguinaria. Nel 1943 in Italia c’era da fare una scelta: da una parte c’erano quelli che combattevano per una causa giusta, dall’altra c’erano quelli che combattevano per una causa sbagliata. Hanno vinto i primi, per fortuna. E i morti partigiani sono morti combattendo per una giusta causa, consegnandoci un paese se non democratico, almeno libero e pacifico. I morti fascisti sono morti combattendo al fianco della potenza più folle, sanguinaria e truce che la Storia ricordi. Sono morti combattendo per una causa sbagliata. A volte, forse, non rendendosene ben conto, è vero. Ma questa non può essere una giustificazione, per nessuno.

Quindi un conto è il rispetto della morte, un altro è il giudizio storico. E il giudizio sui repubblichini è, deve essere e dovrà sempre rimanere implacabilmente negativo.


Gianpaolo Pansa ci ha squarciato il velo: quella che si è combattuta dal settembre 1943 all’aprile 1945 in Italia è stata una guerra civile. Bella scoperta… E alla fine di questa guerra civile i partigiani sono stati cattivissimi e hanno ucciso degli (ex?)repubblichini. Incredibile dictu. Dopo una guerra civile la rappresaglia, la rabbia, la vendetta non sembrano eventi così inusuali. Non che qui ci sia da giustificare per l’amor di dio. Ma che scoperta è?

Sentite qua, in un’intervista che Pansa ha rilasciato al sito della Destra Sociale:
«Molti dimenticano un fatto. Che c’è stata una guerra civile. Una guerra civile è una cosa terribile. Da una parte c’erano i militanti della Rsi in compagnia dei tedeschi; dall’altra parte c’era questo fronte resistenziale molto composito, variegato dal punto di vista politico e anche degli obiettivi reali che ciascuno di questi gruppi si proponeva. E le due parti si sono scannate. Uno che al tempo era un giovane ufficiale della Guardia nazionale repubblicana, mi ha detto testualmente: “Io ho fatto una guerra civile, e l’ultima cosa che vorrei rivedere nella vita è un’altra guerra civile. Una cosa folle”. Ma nel mio libro si spiega bene perché si uccideva. Le guerre civili non sono come le guerre fra Stati, che apparentemente finiscono con una pace, un vincitore, e uno sconfitto che la paga in qualche modo, ma senza gli strascichi come invece succede nelle guerre civili. In quest’ultimo caso la guerra non finisce, c’è un momento in cui si capisce bene che una parte ha vinto e l’altra ha perso. Ma poi continua. E in Italia è continuata anche perché c’era una spinta politica. Prima per cercare di far fuori il maggior numero possibile di fascisti nella convinzione che più uccidevi e meno il fascismo avrebbe rialzato la testa; e poi c’era la voglia di annientare, o comunque annichilire, tutti i superstiti delle forze armate della Rsi, per timore che tornassero a mettersi in mezzo, essendo giovani e, come ben sapevano i partigiani, essendo anche loro ragazzi di fegato. Infine, soprattutto nell’Emilia del sud, cioè Bologna, Modena, Reggio, in Romagna e molto meno a Parma e Piacenza, si uccideva in previsione della spallata per la conquista del potere politico in Italia. E allora, tutta questa roba insieme ha creato una specie di enorme fornace in cui sono state bruciate un numero incredibile di vite».

Senza offesa. Una cazzata dopo l’altra.
Intanto vorrei sapere qual è la prova storica che gli “obiettivi reali” di ciascun gruppo di partigiani fossero così variegati. E soprattutto parlare di “obiettivi reali” sottintende subdolamente che i partigiani avessero un secondo fine o un fine altro rispetto a quello di liberarsi da una dittatura ormai ventennale e da un invasore sanguinario e mostruoso. È, insomma, un’insinuazione da querela, da denuncia, da galera. Considerando che in Italia è andata in galera gente per aver diffamato giustamente (si è scoperto poi, si sapeva già prima) le Alte Cariche dello Stato. E quello che insinua Pansa è palesemente ingiusto. E lo vedremo più avanti.

Poi, le due parti si sono “scannate”: qual è la novità storica estratta da Pansa? Una popolazione oppressa da anni ha combattuto, anche con ferocia, perché no, i dominatori e gli invasori. Ferocissimi anche loro. Più dei partigiani. Mi sembra che tutto fili liscio, e sia tutto ampiamente giustificabile e storicamente provato da mille altre guerre civili, non vedo materiale per scrivere un libro. Un altro.

Le cazzate serie iniziano però da questa frase: “Ma nel mio libro si spiega bene perché si uccideva”. Grazie. Pansa spiega bene perché. Meno male. Eccolo, il perché su uccideva: 1) Per far fuori il maggior numero possibile di fascisti ed evitare così che il fascismo rialzasse la testa (???) 2) Per la voglia di “annientare” (sic!!!) i giovani dell’RSI perché avevano fegato (ma che vuol dire?) e potevano tornare a mettersi in mezzo (quindi ripetiamo il punto di prima, in sostanza ???) 3) Infine soprattutto in Emilia (ed è qui che c’interessa) si uccideva in previsione di una fantomatica “spallata” per la conquista del potere politico (che, come è noto, è stato detenuto dai comunisti-partigiani fin dal 1945 e non è un caso che ancora oggi il regime continui con il più comunista di tutti i comunisti e il più partigiano di tutti i partigiani, Romano Prodi ???).

Cerchiamo di procedere con ordine: intanto Pansa restringe il suo “perché si uccideva” alla sola fazione partigiana (cioè perché i partigiani uccidevano) e al solo dopoguerra. Non gliene frega niente a nessuno il perché si è ucciso prima del ’45 e chi ha ucciso chi e con che numeri e con che metodi. Figuriamoci. Tanto è già stato detto e scritto tutto? Per piacere…

La spiegazione semplice di quello che è successo nel post-25 aprile sta proprio lì, nel pre-25 aprile. Semplice semplice. E come ben sa chi ha studiato un minimo di storia non è affatto stato detto tutto su quello che successe in Italia (e nel mondo) tra ’43 e ’45. Non è stato detto tutto per un semplicissimo motivo diplomatico: c’era un ordine instabile da stabilizzare e certo non avrebbe giovato il sapere perfettamente cos’avevano fatto di preciso fascisti e nazisti durante la guerra. Si sarebbe scatenata una spirale d’odio contro i vecchi regimi e i loro rappresentanti. In questo l’Italia è stata un esempio (forse, ahimè negativo) concedendo un’ampia amnistia agli (ex?)fascisti (Togliatti) e varando una Costituzione democratica. E tollerando, sottolineo tollerando (e forse sta qui l’errore) la rinascita di movimenti fascisti. Perché Pansa dice che «i partigiani non volevano introdurre nessun elemento che potesse portare a un discorso più problematico su quella che pure era stata l’esperienza decisiva, dico io, per la libertà di questo Paese. Non volevano saperne. Ecco perché Almirante non doveva parlare in nessuna piazza del Nord. Non si poteva mettere in discussione l’immagine tutta positiva dell’antifascismo partigiano». Costituzione alla mano, Almirante non avrebbe dovuto parlare in nessuna piazza punto e basta. La cosiddetta “santificazione” della Resistenza è stata quindi più un’opera di cerimonie che un’epica vera e propria. E chi ha studiato la Storia, questo lo sa. Anche Pansa.

Passiamo al succo dei libri di Pansa. Le rappresaglie partigiane del post-Liberazione, il “perché si uccideva”. La teoria del giornalista de “L’Espresso” parte dal suo primo libro, Il sangue dei vinti e si prolunga fino a La grande bugia. Eccola: dietro le rappresaglie partigiane dell’immendiato dopoguerra c’è stata la supervisione e l’organizzazione del Partito Comunista Italiano. Che, come abbiamo visto prima, voleva annientare il vetero-fascismo, voleva evitare che i giovani repubblichini si montassero la testa e soprattutto (questa l’aberrante tesi di Pansa), voleva, mediante questi eccidi, conquistare il potere operando un ricambio sociale che portasse i dirigenti comunisti e i militanti partigiani a soppiantare nei posti chiave delle amministrazioni i borghesi, fascisti e non. Allucinante.

Ora, le rappresaglie partigiane ci sono state, questo non è in discussione. E storici ben più storici di Pansa ne hanno già parlato, eccome: Pavone e Peli, per dire i due più celebri. Sono stati delitti anche efferati in alcuni casi. Ma non si deve mai, e dico mai, omettere il contesto in cui questi delitti sono maturati: un contesto di terrore, di morte, di lager, di sadismo, di stragi di donne, bambini, uomini, fratelli, sorelle, figli e madri. Stragi vere, che non hanno nulla a che spartire con le fosse in cui sparivano 4 o 5 (ex?)repubblichini dipinte da Pansa come stragi planetarie. Alle Fosse Ardeatine morirono 335 (TRECENTOTRENTACINQUE) civili tutti assolutamente innocenti e inermi. Tutti assieme. A Sant’Anna ne morirono 560 (CINQUECENTOSESSANTA). A Marzabotto ne morirono 770 (SETTECENTOSETTANTA). Per arrivare a Modena, la strage di Monchio contò 129 (CENTOVENTINOVE) morti. Tutti prelevati dai nazi-fascisti dalle loro case, senza un motivo, senza che fossero nemmeno partigiani. Solo perché erano carne da macello. Solo perché gli atti dimostrativi, in guerra, si fanno così.

Questo, quindi, questi fatti, non giustificano una vendetta? O meglio. La vendetta non è giustificabile, ma spero siate d’accordo con me, è comprensibile. Umana. Non erano umani i fatti precedenti. Non erano umani i crimini dei nazisti e dei fascisti.

Poi, che le rappresaglie partigiane siano state anch’esse sommarie, che il repubblichino di Scandiano non c’entri nulla con Goebbels o Mussolini o Ciano e i loro efferati crimini, siamo tutti d’accordo. E infatti la vendetta non risolve nulla e anzi, serve solo ad alimentare la spirale d’odio. Ma dopo una guerra civile, dopo quello che tanti italiani avevano passato in campi di prigionia folli, beh, poteva essere una logica conseguenza. È la logica conseguenza, ovunque nel mondo e nella storia: sarebbe bello che non fosse così, ma i partigiani sono stati brutalmente conformisti. E, lo ripeto, umani. Perché i partigiani avevano condotto una vita diversa.

E il tutto è avvenuto senza nessuna macchinazione politica. Senza nessun ruolo del PCI: la teoria di Pansa è sconfessata dalla storia d’Italia. Se così fosse stato, se il PCI per mezzo dei partigiani avesse voluto prendere il potere, beh, mi spiegate perché in Italia nel 1948 la DC STRA-vinse le elezioni? Perché Togliatti regalò un’amnistia che fece uscire dal carcere 7000 (SETTEMILA) criminali fascisti (con le più diverse colpe)? Perché la burocrazia fascista (gli impiegati in sostanza) rimase più o meno totalmente in piedi (giustamente, sennò ci sarebbe stato un pericoloso blocco istituzionale e amministrativo)? Perché Togliatti, dal letto d’ospedale, per radio, invitò i partigiani già coi fucili in braccio dopo l’attentato a lasciar perdere, a non far ripiombare l’Italia nel baratro della guerra? Quello stesso Togliatti che Pansa dipinge come il macchinatore delle vendette partigiane?

I libri di Pansa si basano su fatti realmente accaduti (quasi tutti). Ma non c’è eroismo, nelle morti del dopo 1945. L’interpretazione storica di Pansa è assolutamente priva di fondamenta. Sterile. Demagogica. Presuntuosa, perché totalmente libera da vincoli documentaristici. Assolutamente fuori contesto, perché nelle pubblicazioni di Pansa non si fa mai cenno a ciò che successe prima, al pregresso. Perché è quella la Storia d’Italia. E quello che è successo dopo deve essere senza discussioni e senza “se” mediato da quella Storia. Per questo la disamina di Pansa è molto, molto pericolosa. Perché mina le basi della storiografia e della realtà oggettiva dei fatti. Perché letteralmente “inventa” la Storia.

Purtroppo, su quella Storia, non c’è nulla da inventare. Le vite vissute dai partigiani e dai repubblichini sono diametralmente opposte. È lì la differenza.

I pazzi omicidi c’erano dall’una e dall’altra parte. La giustizia della causa per cui combattere da una sola. E noi dobbiamo rispettare e ringraziare per sempre i partigiani. Avessero vinto i vinti, non saremmo qui a parlarne, di quella Storia.

P.S.: questo scritto deriva dalla sentita indignazione derivante da uno sconcertante articolo che descriveva una curiosa situazione a Verona. Nel pezzo in questione (“La Repubblica”, 24 luglio 2007) si riportava la richiesta del consigliere comunale di AN, eletto responsabile dell’Istituto Storico dopo una sbalorditiva votazione, di “commemorare con pari dignità i combattenti partigiani e i soldati di Salò” nella prossima celebrazione del 25 aprile. Lo stesso consigliere, tale Miglioranzi, dichiarava: “In passato, proclamarmi fascista mi è costato il carcere, ma ora farò sentire la voce dei vinti, di tutti quelli che dal 1945 a oggi sono stati imbavagliati dai vincitori”. Anche soltanto 15 anni fa non sarebbe mai successo. Ma ora qualcuno vuole riscrivere la Storia. Stuprandola. Travisandola completamente. Offendendoci. E, per quanto possiamo, non dobbiamo permetterlo.

di Alessandro Trebbi


Grazie Alle davvero, perchè hai espresso con parole sicuramente migliori delle mie, tutto il mio pensiero: purtroppo c'è ancora qualcuno che si permette di infangare la Resistenza, che con tutte le sue contraddizioni, ci permette di vivere oggi come delle persone libere. Dobbiamo solamente dire grazie a chi a 20 anni si è fatto sparare per un mondo migliore e libero ...e spero che ci sia qualche persona in più il 25 aprile in piazza Grande o sbaglio Alle? - Ste - 30/08


Caro Trebbi di tanto in tanto ti scrivo. Dimostri a parte le cazzate con le quali spesso ti diletti, di avere delle nozioni storiche e sicuramente la consapevolezza dei sacrifici di tante persone che ci hanno consentito di sfuggire ad un destino probabilmente tragico. Non sono schierato così tanto, come te ma ti ringrazio perchè il tuo scritto esorta a non dimenticare. Ma siamo sicuri di essere liberi in Italia? Mah a me non pare proprio.
Ciao - Nicola da Firenze - 30/08


la Resistenza sì, fondamentale è determinante da una parte, ma non dimentichiamo gli alleati, senza di loro dubito potessimo essere liberi ora. Ma a parte questo, l'uccisione di una persona non è giustificabile MAI, nè da parte, nè dall'altra e questo è la cosa più importante da ricordare. La vita non è nostra: ci è stata donata - Daniele Bergamini - 31/08


Beh credo che la circostanza di una guerra civile sia ben diversa dalla vita "normale" di tutti i giorni dove giustamente non è mai giustificabile l'uccisione di una persona... in quel contesto credo che chiunque avesse subito atrocità simile avrebbe reagito e non credo porgendo l'altra guancia. Almeno io avrei fatto così. Per quanto riguarda l'aiuto alleato è innegabile sia stato determinante, ma credo che sia necessario più di tutto esaltare il coraggio dei nostri Partigiani che erano ben lontani dall'organizzazione militare degli Americani, sia per numero che per equipaggiamento - Ste - 31/08


LA RESISTENZA è la mia vita - Lampa Dina - 31/08