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Carissimo Luther, in realtà non so se utilizzare il singolare o adattarmi al simbolo di moltitudine e intelligenza collettiva che il Suo pseudonimo rappresenta, parlando al plurale.
Risolverò il problema considerandola per quello che può rivelare l'apparenza. Leggendo l'ultima Sua mi è parso che Lei stesso sia caduto nella trappola dei luoghi comuni, sviscerando un generico attacco al giornalismo, per altro in maniera nient'affatto originale: in un qualunque bar di provincia, il
lunedì mattina, potremmo sentire sferrati altrettanti attacchi ( je croix que à Paris ça c'est passera pareil, n'est-ce pas?).
Mi rendo conto che il giornalismo non può essere italiano puro e, di conseguenza, non può contenere un perfetto eloquio. Il giornalismo non è altro che uno stile e come tale non può rinnegare le regole, forme ( e "formule") che lo caratterizzano: nella poesia abbiamo la metrica, nel
giornalismo le frasi "preconfezionate". In senso obiettivo concordo con Lei sull'irrilevanza di certe notizie ma una testata deve principalmente rendere conto al pubblico: se Roberto Baggio è il personaggio del momento, il lettore si aspetterà 3 prime pagine sportive su Roberto Baggio e, a costo di cadere nella banalità, non si potrà soffocare questa richiesta. Comunque, quello che è, non è mai quello che dovrebbe essere.
I media sono anche marketing, ma queste cose le sa molto meglio Lei di me! Gradirei abbandonare questi confini imprecisati che offuscano sostanzialmente un problema di rivelazione di identità dietro ai quali si nasconde una sorta di massificazione del pensiero e mi chiedo se sia possibile, eventualmente, affrontare questi argomenti (e soprattutto altri prettamente pallavolistici) in maniera più diretta fornendomi/ci, chessò un numero ICQ.
In attesa di un cortese riscontro, saluto cordialmente.
Una sportiva

P.s. i miei complimenti per il sito e, in particolare per la Sua
divertente rubrica.



Per prima cosa le chiedo scusa se rispondo così in ritardo, ma ho così poco tempo...
Vede, devo deluderla. Il giornalismo non è uno stile, ma un linguaggio. Non è un mio giudizio, ma è Linguistica. Per la verità è un linguaggio speciale, cioè un particolare uso che si fa della lingua (italiana, francese, tedesca, ecc...) per comunicare determinati argomenti, o legati a particolari attività lavorative e professionali, come ad esempio i campi scientifici (economia, medicina, politica) o proprio il campo giornalistico. Ma sono d'accordo con lei, ha delle regole, delle forme che lo caratterizzano (un esempio è la sinteticità). Formule che devono essere rispettate, ma, mi spiace, i luoghi comuni, le "frasi preconfezionate" non fanno parte di queste regole. Mi spiego. Con luoghi comuni, intendo quelle frasi o "modi di dire" utilizzati spesso in qualsiasi campo discorsivo, senza distinzione.
Vede, i luoghi comuni sono l'esempio più lampante di povertà espressiva. Per ogni frase preconfezionata ne esistono altre mille che possono significare la stessa cosa. Allora perché si usano i luoghi comuni? Perché sono semplici da capire (il lettore non si sforza), ma soprattutto perché attirano l'attenzione, sono sensazionalistici.
Ora non mi voglio dilungare troppo sulla differenza tra stampa sensazionalistica (vedi i tabloid inglesi) e stampa di qualità (Le Monde, New York Times, Guardian, Repubblica, Corriere della Sera ecc) ne voglio esprimermi a favore dell'una e dell'altra, anche se spero si capisca verso quale tendo. In ogni caso, il giornalismo, inteso come linguaggio volto a fornire e commentare notizie, cronache, informazioni, non deve e non può essere povero, anzi. Il giornalista deve tendere all'uso più corretto ed espressivo della lingua con lo scopo di comunicare con chiarezza e precisione, senza preoccuparsi di mettere in difficoltà il lettore. Certo è molto più semplice trovarsi di fronte ad un format comune, noto, sempre uguale, intuibile. Si legge al volo e via. Ma lei concorderà con me che
tutto ciò impoverisce la cultura che risiede nel linguaggio. Semplicità e chiarezza sono una cosa, ma ripetitività e banalità sono altro. Oltre a fornire informazioni vere e precise, il giornalista ha un compito implicito di grande importanza, salvaguardare la buona lingua. E, mi permetta, la buona lingua non è per forza "eloquio perfetto" (quello non lo può avere nessuno).
Sul tipo di informazione da fornire credo di essermi già espresso e leggo che in parte mi appoggia. Ma non posso essere d'accordo su una sua frase: "una testata deve principalmente rendere conto al pubblico". Questo è il modo di pensare che ha portato alla nascita della stampa scandalistica, dei cosiddetti programmi contenitore, della Tv "buco della serratura" tipo The Big Brother. Il mercato è una cosa, i media sono una cosa, l'informazione è tutt'altro. Se il pubblico si vuole far lobotomizzare da tutto questo bene, che lo faccia, ma senza l'aiuto del giornalismo. L'informazione deve rimanere com'è, vera, oggettiva, pertinente ai fatti, chiara, se vogliamo politicizzata e commentata, ma mai futile, banale, o peggio, venduta (al pubblico o a qualcun'altro). E il fatto che non sia così, non vuol dire che non lo debba essere mai.
Per concludere, volevo precisare nuovamente che il mio non è stato un "generico attacco" al giornalismo, anzi potrei citarle e in parte l'ho fatto quotidiani, periodici e giornalisti che apprezzo e invidio per la loro capacità. La mia critica era rivolta (e si capiva palesemente) ad alcuni quotidiani e ad un modo particolare di scrivere: superficiale, poco attento all'importanza delle parole.
Saluti... Luther

email: lutherblisset3@hotmail.com


(Traduzione a cura di Antonella Castellazzi)