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17/04/2002
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Intanto la visione che avevo da terra si era fatta tutt'altro che consolante. Tra le facce dei curiosi che mi circondavano non ce n'era una sola, neanche a pagarla, pronta a scommettere che ero ancora vivo. E non potevo certo biasimarli. Il quarto proiettile, quello alla nuca, era passato attraverso il palato senza un accenno d'imbarazzo. In questo incidere impetuoso aveva sicuramente falciato una di quelle arterie segrete il cui palpito è fondamentale per la vita di un uomo. Una di quelle vene di cui quando sei in vita non ti frega assolutamente niente, di cui ignori il nome e l'esistenza, ma quando sei sfiorito per terra assume di colpo un'importanza pressoché simile al petrolio. Non foss'altro per come ti guarda la gente intorno, tutti in cerchio con le mani sulla nuca. Non fossi morto sotto quei colpi sarei scoppiato comunque, ma dal ridere, alla vista di quella folla impicciosa che sembrava stesse giocando all' un due tre stella.E pensare che quel pomeriggio mancava poco che mi sentissi addirittura bello. Prima di partire ero passato dal barbiere. Volevo assoggettare i capelli alle civetterie di mia moglie. Diceva sempre che li portavo troppo lunghi per il mio lavoro e troppo sciatti per la sua pazienza. Così, non sapendo se dare ragione alla famiglia o ai sindacati, avevo deciso di tagliarli a mezz'altezza, di sospenderli nell'aria come in agguato di qualche novità da concupire. Per strada poi mi ero fermato a togliermi dal collo e dalla nuca quella miriade di capelli tagliuzzati che di solito i barbieri raccolgono in un piatto come fossero spaghetti per poppanti.
L'unica cosa che tradiva le condizioni della mia salute precaria era la stanchezza della pelle. Ma anche così, a trentotto anni, ero sempre di un'eleganza principesca. Una giacca leggera di mussola, la strada, il casello, l'autogrill dove mi avrebbero scortato un buon vivere e una morte coreografica. L'avessi saputo prima avrei almeno risparmiato i soldi dei capelli. Morire per morire li avrei tagliati nel salone di San Pietro, e chissà che non mi sarebbe costato meno di quello in terra.
Nel frattempo l'appuntato Dondoni aveva cominciato a circondare il mio cadavere con la polvere di gesso. Aveva anche richiesto rinforzi via radio ma si era sentito rispondere che erano tutti allo stadio per vigilare su Perugia-Foligno, rovente spareggio tra cugini. Negli ultimi cinque campionati quella partita aveva mandato più persone all'ospedale di quante non ne avesse raccolte allo stadio. Quell'anno in particolare. Nell'incontro di andata al Perugia era riuscita l'impresa storica di espugnare il campo del Foligno. Credeteci, non fu cosa possibile mandare a casa i suoi tifosi prima degli albori del lunedì. Pensando alla partita di ritorno il questore non era riuscito a chiudere occhio già tre notti prima. Così, per evitare anche il più innocuo battibecco, aveva disposto in tutto lo stadio uno spiegamento di forze tale da lasciare sguarnita l'intera cittadina.

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