ultimo aggiornamento: 03/03 15.15
HOME PAGE

CORSIVO
GIUDIZIO

 
 
 

Steso sul prato Napoleone scrutava l’orizzonte. Ben presto si accorse che la collina che stava contemplando da qualche attimo non era il campo della futura, decisiva battaglia. Era la sua pancia. Si tirò un po’ su allora, e continuò a guardare in direzione dell’accampamento nemico. Il capitano del suo battaglione migliore, Leonard La Carrette, stava ancora dormendo. Ovviamente, erano soltanto le tre del pomeriggio. Appena alzato avrebbe chiesto la solita birra al responsabile delle vettovaglie, Muhammed Von Pirr, un arabo-tedesco fatto prigioniero da Napoleone nella sua campagna d’Egitto e poi divenuto fedelissimo collaboratore dell’esercito dai vessilli rossoneri. In cucina, assieme a Muhammed, lavoravano il fido cuoco Andrè La Cosse, specialista in piatti di mare, e Albert Le Belle, addetto ai condimenti, amante del pepe. Il loro amico, il tenente Condoms, ribelle dell’esercito inglese, scherzava in cucina con Muhammed: gli stinks volavano, in attesa che il capitano venisse a reclamare la sua bevanda.

A qualche miglio di distanza Lord Wellington stava finendo di sistemare la lunga parrucca bianca, così come impone il galateo inglese prima delle battaglie. Il suo esercito, pronto a sferrare l’attacco decisivo alle truppe dell’imperatore-stratega francese, era rilassato, in attesa di un errore avversario, di un cedimento, di una ribellione intestina. Lord Wellington aveva osservato tutte le ultime mosse della Francia: ne aveva studiato le battaglie, valutato i possibili punti deboli, conosciuto le vicende interne, assieme all’alleato e parente prussiano Robert Von Briss. Il missionario PierMary Nibbs era il regista oscuro di tutte le trame dell’Esercito delle Nazioni e certamente Wellington, ricordandosi della cocente sconfitta di Austerlitz, aveva fatto un grande affidamento su di lui per riportare l’Europa indipendente alla vittoria. Il tenente centrale Sean Paul La Carrette, nipote ribelle del capitano di Napoleone, componeva rime in stile americano per passare l’afoso pomeriggio, mentre il suo compagno di reparto Maximilien Manfrin, alto-atesino fedele alla causa austro-ungarica, si dilettava nello studiare gli schemi di battaglia. Punti di forza dell’armata di Wellington erano certamente il fido Richard Raymond, un comandante inglese convinto dopo qualche titubanza ad entrare in battaglia, ed il rivoluzionario latino americano Esteban Strichetos, fautore e promotore della libertà delle colonie americane di Spagna ed ora libero anche lui. L’altro missionario, frate Elias, stava catechizzando la retroguardia sul da farsi in caso di sfondamento, mentre Matthew Malms con la sua mano mancina scriveva lettere d’amore. Insomma, l’attesa, nel composito campo dell’Esercito delle Nazioni, era piuttosto tranquilla: dopo anni di dominio napoleonico sembrava ormai giunta l’ora di scalzare l’imperatore dal suo regno e porre così fine alla dittatura francese sull’Europa.

Il Bonaparte ora si aggirava agitato tra le tende. Non era mai tranquillo prima delle battaglie e di notte non dormiva. Spesso si dilettava nell’andare a vendere frutta ai mercati rionali delle città conquistate, per ingannare il tempo e l’insonnia. Adesso, vedendo la sua imbattibilità messa in seria discussione, era meno tranquillo che mai. Emmanuelle Armarole, dama rossa di compagnia, non riusciva ad allietare i pomeriggi del sovrano, anche perché l’eroe di tante battaglie, Alexandre George, soprannominato, proprio per le sue doti miracolose, Saint George, tardava a presentarsi, attardato da un fastidioso mal di testa procuratogli dai tamburi e dalle trombe che avevano annunciato l’arrivo delle truppe nemiche. Tra l’altro uno dei più valorosi comandanti, Lord Ugolini, generale di chiara origine italiana, era come suo solito ubriaco, e si aggirava a piedi per la campagna circostante cercando il suo cavallo. Vère, compagna d’amore saffico di Emmanuelle, lo trovò vaneggiante tra le verdi colline del Belgio e riuscì a ricondurlo al campo, ma l’ebbrezza persisteva e Lord Ugolini non era certo in grado di affrontare la battaglia. Anche il Sergeant Berjeant vaneggiava nella sua tenda, ripetendo, a intervalli regolari, l’inquietante frase: “C’est impossibile!”. Forse si riferiva all’imminente battaglia? Forse a qualche donna non concupibile? Nessuno era in grado di decifrare l’enigma. Insomma, la situazione dell’esercito imperiale non era certo delle migliori. Gli unici in grado di sostenere la battaglia, al momento, sarebbero stati i due Alexandre: Alexandre le Guerce e Alexandre Le Champion, ma tra loro non correva buon sangue, per via di un’antica disputa sulle munizioni. Il primo, infatti, addetto alla distribuzione dei proiettili, era solito trascurare il secondo, pur valorosissimo combattente, nella spartizione. E così non si potevano certo affidare alla coppia, almeno per il momento, le sorti della battaglia. Il vecchio generale Von Papotten, recluta di Napoleone nella battaglia di Borodino, era ormai giunto alla fine della sua carriera militare, per ora avara di successi. Ancora capace di idee e soluzioni geniali, il fido militare di Napoleone non avrebbe certo potuto reggere da solo il peso della sfida decisiva, tanto più che l’altro generale, Emilien Mal à Volte, era gravemente ferito ad una gamba, e non sarebbe stato in grado si prendere parte all’agone.
Napoleone era consapevole del clima di accidia e lascivia che aveva preso possesso del suo esercito, ma continuava a ripetere ai suoi che bisognava trasformare e scavare. Trasformare quelle facce ebbre di alcol e di lussurie in uomini vincenti; scavare nel fondo dei propri cuori alla ricerca delle motivazioni rivoluzionarie che avevano condotto la Francia a esportare la democrazia, ovunque. Ancora una volta, l’ultima.
Rimaneva qualche battaglia da affrontare, sia dall’una che dall’altra parte, prima dello scontro finale. Ma contro eserciti di piccoli comuni, la vera guerra sarebbe stata di lì a poche settimane. Non sarebbe stato facile passare Carpi, per il Bonaparte, ma bisognava arrivare a Lipsia nelle migliori condizioni.

Alle quattro del pomeriggio la situazione, nei due campi distanti solo qualche miglio, era tranquilla. Mentre Lord Wellington si accingeva a ricostruire il piano d’attacco col generale Von Briss, Napoleone, finalmente, si addormentò. Sognava Saint George.
Alessandro Trebbi